“Di fronte a noi, a ostruire il cammino vi sono soltanto alcuni vecchi signori, rigidamente stringati nelle loro finanziere, che hanno bisogno nient’altro che di essere trattati con un po’ di amichevole irriverenza e mandati all’aria come birilli. Molto probabilmente la cosa piacerà pure a loro, quando avranno superato il trauma”, Keynes (1931, pp. 133-134).
Nell’attuale situazione di congiuntura economica, le imprese, purtroppo, si trovano sempre più spesso a far fronte, con tempestività, a tutte le complesse problematiche relative alla gestione dei crediti.
Quello dei crediti insoluti è, infatti, un problema molto delicato e di primaria importanza in grado di generare una vera e propria “reazione a catena” nel bilancio aziendale. E Keynes, economista britannico e “padre” della macroeconomia, nella sua teoria economica sembra avere già fornito la “chiave” per uscire da crisi e ambiguità. Con un po’ di sana e amichevole, appunto, irriverenza.
Veniano al dunque. Crediti inesistenti o obsoleti andrebbero ad “annacquare” l’attivo patrimoniale; pertanto prudenza e logica di continuità aziendale devono sempre caratterizzare l’impresa che si approccia a chiudere i bilanci di esercizio.
Proprio in questo periodo dell’anno, quando hanno già avuto inizio le attività di valutazione e classificazione delle voci dei bilanci chiusi al 31 dicembre 2023, il valore contabile dei crediti iscritti in bilancio è oggetto di attenta analisi da parte delle governance aziendali in quanto il loro valore andrebbe rettificato in base alla potenziale inesigibilità, così come previsto dai Principi contabili nazionali (OIC 15).
A tal fine, non son poche le riflessioni sulla convenienza economico e fiscale di tali rettifiche in quanto produrrebbero sui bilanci aziendali degli effetti rilevanti sotto l’aspetto economico, patrimoniale e finanziario nonché sul risultato economico e fiscale d’esercizio. Tuttavia, questa pratica spesso si reputa necessaria e non trascurabile.
Ma perché i crediti inesigibili causerebbero una reazione a catena?
Quando emettiamo una fattura per la vendita di un bene o la prestazione di un servizio ne stiamo comprovando l’avvenuta regolarità dell’operazione commerciale e da essa ne scaturisce il diritto a riscuoterne il relativo prezzo, che include l’Iva che saremo obbligati a riversare allo Stato in sede di liquidazione periodica.
Dal momento in cui non riscuotiamo il credito in questione, è chiaro che vorremmo recuperare le imposte sui redditi versate per il ricavo non conseguito, unitamente all’Iva versata allo Stato e non incassata.
Quindi come possiamo comportarci per recuperare le imposte dirette e indirette su crediti inesigibili?
Relativamente alle imposte dirette, l’art. 101, comma 5 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) dispone che le perdite su crediti, per essere definite “deducibili”, devono essere basate su elementi certi e precisi.
Tuttavia, a prescindere dalla effettiva certezza e dalla precisione, sussiste una presunzione legale secondo la quale le perdite possono essere dedotte:
- se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali;
- se si tratta di crediti “di modesta entità”, c.d. “microcrediti”;
- se il diritto alla riscossione del credito risulta prescritto.
Alla luce di quanto sopra descritto:
- per i crediti verso debitori sottoposti a procedure concorsuali, la deduzione della perdita è ammessa entro la “finestra temporale” che va dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento (o di avvio della procedura) al periodo d’imposta in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si deve procedere alla cancellazione del credito dal bilancio;
- Per i crediti “di modesta entità”, d. “microcrediti”, è prevista la deducibilità automatica della perdita qualora sia decorso un periodo di 6 mesi dalla scadenza del pagamento. In questi casi, infatti, avviare le procedure di recupero del credito potrebbe risultare poco redditizio. Il credito si considera di modesta entità quando ammonta ad un importo non superiore a 5.000 euro per le imprese con volume d’affari o di ricavi non inferiore a 100 milioni di euro annui e non superiore a 2.500 euro per le atre imprese. L’importo del credito è dato dal valore nominale comprensivo dell’iva. Il credito riscosso parzialmente rileva il valore al netto degli importi incassati;
- Per i crediti prescritti gli elementi certi e precisi di cui sopra sussistono nel caso in cui il diritto alla cancellazione dei crediti dal bilancio è operata in applicazione dei principi contabili.
Inoltre, in caso di crediti relativi a procedure esecutive infruttuose, la definitività della perdita è conseguente all’esito negativo di azioni esecutive radicate dal creditore (come ad esempio il verbale di pignoramento mobiliare negativo o l’impossibilità riscontrata dagli ufficiali giudiziari di notificare gli atti giudiziari), sempre che l’infruttuosità dell’azione denoti una grave e definitiva situazione economico patrimoniale del debitore.
Relativamente alle imposte indirette e quindi all’Iva non incassata a fronte delle fatture emesse, è opportuno in primo luogo individuare due diversi momenti: i fatti intervenuti prima dell’entrata in vigore dell’art. 18 del DL 25.05.2021, n. 73, c.d. “Sostegni–bis”, ovvero il 26.05.2021, ed i fatti intervenuti successivamente alla stessa data.
Pertanto, per le procedure avviate prima del 26 maggio 2021 è possibile emettere la nota di variazione solo dopo aver accertato la definitiva irrecuperabilità del credito, ossia l’infruttuosità della procedura che coincide temporalmente con la conclusione della stessa.
Affinché sia possibile l’emissione della nota di variazione, devono ricorrere tre condizioni:
- che la procedura abbia avuto inizio (ad esempio attraverso la sentenza dichiarativa di fallimento);
- che il creditore si sia insinuato al passivo della procedura (salvo il caso in cui il contribuente possa dimostrare l’infruttuosità della procedura fallimentare per mancanza di attivo da liquidare);
- che tale procedura si sia conclusa infruttuosamente.
In merito a tale aspetto, la certezza dell’infruttuosità della procedura si realizza alla scadenza del termine per proporre reclamo contro il progetto di riparto (15 gg) e nel momento in cui il decreto di chiusura del fallimento della procedura acquista efficacia. Inoltre, il cedente potrà emettere la nota di variazione in conseguenza del mancato pagamento comprovato da procedure esecutive individuali o procedure concorsuali rimaste infruttuose.
Il termine per l’emissione della nota di variazione è di un anno dalla data in cui si sia accertata l’infruttuosità della procedura.
Per le procedure avviate dopo il 26 maggio 2021, nei casi di mancato incasso, totale o parziale, del credito, sarà possibile emettere la nota di variazione alla data di avvio della procedura concorsuale, senza dover attendere che sia definitivamente accertata l’infruttuosità della stessa.
La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 20 del 29 dicembre 2021 ha specificato che il giorno entro il quale può essere emessa la nota variazione in diminuzione è da individuarsi nel termine per la presentazione della dichiarazione iva relativa all’anno in cui è stata avviata la procedura concorsuale.
È necessario precisare che nel caso in cui, nel corso della procedura e dopo aver emesso la variazione in diminuzione, si realizza il sopravvenuto incasso del credito, il prestatore dovrà emettere una variazione in aumento pari all’importo incassato.
Conclusioni.
Un’attenta valutazione delle singole voci di bilancio ed, in particolare, dei crediti in esso esposti ci conduce al rispetto dei principali principi di redazione del bilancio, secondo cui questo deve essere anche veritiero e corretto.
È sempre opportuno evitare di “annacquare” l’attivo patrimoniale di poste obsolete e/o inesistenti, rappresentiamo in modo prudente e lungo la logica della continuità aziendale i fatti che caratterizzano l’impresa.
Foto di Wesley Tingey su Unsplash.