Legge di Bilancio 2022: quale sorte per l’Italia? La Manovra, annunciata anzitempo da Bruxelles, mira a “ristrutturare” i regimi fiscali finora esistenti. L’obiettivo annunciato è quello di ridurre la pressione fiscale sui redditi delle persone fisiche, diminuendo le aliquote, rimodulando la No tax area ed eliminando Irap per professionisti e imprese individuali. Ma tutto ciò avrà solo influenze positive sul sistema fiscale italiano? Proviamo a fare luce sulle zone ancora in ombre della Manovra.

Lo scorso novembre Bruxelles ha approvato, con qualche giorno di anticipo rispetto alla scadenza del 30, la traccia che costituirà l’impalcatura della Manovra e che presenta già un solenne monito rivolto all’Italia. La Commissione Europea, infatti, invita il Paese al continuo monitoraggio delle risorse utilizzate, puntualizzando come sia essenziale essere in grado di adattare le misure di sostegno all’economia ed alla crescita per andare incontro ai nuovi scenari economici che potrebbero sopraggiungere.

L’obiettivo della riforma è duplice: provare a rendere maggiormente equo il sistema fiscale tramite una minore pressione fiscale sui redditi delle persone fisiche, diminuendo le aliquote sia nel numero che nella percentuale; rivedere le detrazioni e la No tax area, oltre a eliminare l’IRAP per professionisti e imprese individuali.

Se si riuscisse a raggiungere l’obiettivo si produrrebbe un effetto di appiattimento della curva della pressione fiscale, soprattutto nelle prime fasce di reddito, cioè quelle che maggiormente risentono del cuneo fiscale. Ciononostante, ad oggi comprendere chi, tra le varie diverse fasce di reddito, possa trarne un vantaggio risulterebbe un percorso ad ostacoli e sarebbe altresì una previsione azzardata, poiché non sarebbe possibile tenere conto di diverse variabili, come, a titolo di esempio, detrazioni d’imposta ed i bonus fiscali.

Per comprendere la differenza tra aliquote e scaglioni in vigore e aliquote e scaglioni previsti, è sufficiente osservare la seguente tabella:

23 per cento fino a 15.000 23 per cento fino a 15.000 euro
27 per cento da 15.001 fino a 28.000 25 per cento da 15.001 fino a 28.000 euro
38 per cento da 28.001 fino a 55.000 35 per cento da 28.001 a 50.000
41 per cento da 55.001 fino a 75.000 43 per cento da 50.000 euro in su
43 per cento oltre 75.000 euro                                        –

Come si può notare, dunque, verrebbero ridotte sia nel numero che nel peso percentuale le aliquote che attualmente colpiscono i redditi tra 15.000 e 50.000 euro, rappresentanti di più della metà dei contribuenti italiani. Ragionando su tali dati, risulta facilmente intuibile che i maggiori benefici in termini di riduzione di imposta interesseranno le fasce mediane di reddito; nulla cambierà per il primo scaglione e così come nulla cambierà in termini di aliquota per i redditi al di sopra dei 75.000 euro. Il problema si porrebbe, invece, per i redditi rientranti nello scaglione che, di fatto, verrà inglobato dall’aliquota più alta: infatti chi ha un reddito compreso tra i 50.000 euro e i 75.000 euro non sarà più assoggettato ad un’aliquota del 38% sui primi 5.000e del 41% sui restanti 20.000, ma direttamente all’aliquota del 43%, una vera stangata.

Per far sì che il taglio delle tasse diventi concreto per tutti, il suddetto aggravio fiscale potrebbe essere compensato dal sistema delle detrazioni. Difatti, il massiccio intervento sul sistema delle detrazioni dovrebbe portare ai maggiori risultati in termini di risparmio; motivo per cui concentrarsi  solo sulle aliquote non è affatto sufficiente per avere un quadro completo del’ impatto fiscale della riforma.

In via previsionale il Mef ha stimato che il vero taglio delle tasse per i redditi cosiddetti medi, tra riduzione di aliquota e detrazione di imposta, andrebbe letto con i seguenti numeri:

  • i redditi fra 35.000 e 40.000 euro avranno un risparmio medio del 5,2% per i dipendenti, del 3,5% per i pensionati e del 3,1% per gli autonomi;
  • i redditi tra 40.000 e 45.000 euro lordi annui otterranno un risparmio medio rispetto ad oggi del 6,4%, con una punta del 7,5% per i dipendenti, uno sconto del 4,2% per i pensionati e del 3,9% per gli autonomi;
  • i redditi tra 45.000 euro e 50.000 euro vedranno un risparmio del 5,5% per i dipendenti, del 4,6% per i pensionati e 4,3% per gli autonomi.

Per quanto riguarda i redditi più alti, nonostante dai 55.000 euro in su sia prevista un’aliquota più alta, questi potranno godere di qualche beneficio per via della futura revisione delle detrazioni fiscali.

In questo quadro di revisione dell’Irpef ricade anche la No tax area, con un beneficio particolare per gli autonomi: la soglia di reddito esente dalle imposte passerà da 4.800 euro a 5.500 euro.

Prima che tutto questo diventi Legge occorrerà aspettare ancora qualche settimana, ma le perplessità sull’efficacia della manovra sono già molte e arrivano direttamente da Confindustria la quale, senza esitazioni, accende i riflettori sulla mancanza di attenzione rivolta alla pressione fiscale verso le imprese, motore trainante della ripresa economica. Per gli industriali, infatti, il taglio delle aliquote Irpef non migliorerà la competitività delle aziende e non interviene in alcun modo a favore di giovani e donne. Insomma, i tecnici di Confindustria, da Via dell’Astronomia hanno appreso le notizie con non poche perplessità.

Si teme, infine, che i benefici che le famiglie possano percepire siano veramente ridotti e che il taglio sia in effetti finanziato da un generoso ridimensionamento delle agevolazioni fiscale, se non persino da una loro eventuale scomparsa.  La soluzione prevista dalla riforma fiscale così strutturata non terrebbe neanche in considerazione il regime forfettario che da anni viene spesso chiamato in causa quando si parla di riforme, ma che con una ridistribuzione degli scaglioni Irpef del genere diventerebbe ulteriormente allettante per la maggior parte dei lavoratori autonomi che si trovano nella fascia che ha subito l’accorpamento.

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