Nell’ambito dei sempre più frequenti finanziamenti effettuati dai soci alle società, le delibere assembleari o lo scambio di corrispondenza sono documenti necessari per dimostrare la natura dei finanziamenti ed escludere la qualificazione degli stessi come ricavi occulti.

Per effetto delle sempre più ricorrenti necessità che le aziende hanno di disporre di nuove risorse finanziarie, nei bilanci delle società di piccole, medie e grandi dimensioni è frequente trovare appostati a diverso titolo i finanziamenti effettuati dai soci.

Tuttavia, la gestione delle risorse finanziarie provenienti dai soci soggiace a regole sensibilmente diverse in relazione agli obiettivi che i soci e l’azienda si pongono.

Ma andiamo con ordine. L’apporto di liquidità dei soci alle società può essere effettuato tramite due diverse modalità, quali in particolare i “versamenti in conto capitale” ed i “versamenti a titolo di mutuo”. I primi devono essere contabilizzati tra le voci del patrimonio netto, a differenza dei secondi che sono iscritti tra i debiti.

La possibilità dei soci di effettuare finanziamenti alle società partecipate è subordinata al fatto che ciascun socio deve detenere almeno il 2% del capitale ed essere iscritto tra i soci della società al Registro Imprese da almeno tre mesi. Inoltre, lo statuto della società dovrà prevedere la possibilità dei soci di effettuare finanziamenti.

In presenza di tali presupposti, i finanziamenti potranno essere effettuati mediante una formale delibera assembleare o mediante una corrispondenza commerciale tramite raccomandata o scambio di pec.

I finanziamenti soci potranno essere fruttiferi o infruttiferi ed in tal senso i sopra descritti documenti dovranno riportare il diritto dei soci alla percezione degli interessi, fermo restando che, in assenza di una specifica previsione che dimostri la “fruttuosità” dei finanziamenti, gli stessi si considereranno infruttiferi.

È quindi evidente che, per ciascun finanziamento, sia la società che gli stessi soci si pongono obiettivi differenti ed è conseguentemente necessario che gli stessi scelgano la giusta forma attraverso cui effettuare operazioni conformi ai rispettivi obiettivi.

Esaminando, inoltre, gli aspetti civilistici, emerge che, in conseguenza delle diverse modalità di finanziamento, si configurerà o meno un obbligo di restituzione.

In particolare, sono finanziamenti senza obbligo di restituzione i “versamenti in conto capitale” (o futuro aumento di capitale) per i quali l’art. 2424 c.c. prevede l’indicazione nel passivo dello Stato Patrimoniale ed in particolare nella voce A VI del Patrimonio Netto denominata “Altre riserve, distintamente indicate”.

Alternativamente, i “versamenti a titolo di mutuo” sono debiti che la società ha verso i soci, con obbligo di restituzione, per i quali è prevista l’appostazione contabile nella voce D3 dello Stato Patrimoniale.

La restituzione dei finanziamenti soci deve essere effettuata, alla scadenza prestabilita, a seconda della tipologia di finanziamento, poiché se trattasi di finanziamenti in conto capitale, la restituzione è possibile solo in sede di liquidazione dell’attivo societario, mentre per i finanziamenti a titolo di mutuo la restituzione è possibile alle scadenze previste dalla delibera o dalla corrispondenza.

In merito alla restituzione dei finanziamenti soci l’art. 2467 c.c. prevede una specifica disciplina finalizzata a limitare il fenomeno legato all’erogazione di finanziamenti a titolo di capitale di prestito da parte dei soci, che, nei fatti, costituiscono capitale di rischio.

Il sopra indicato articolo prevede che, indipendentemente dal fatto che si tratti di finanziamenti in conto capitale o a titolo di mutuo, nel caso in cui i finanziamenti vengano effettuati in un momento di squilibrio finanziario della società:

  • il rimborso dei finanziamenti dei soci è postergato rispetto al soddisfacimento degli altri creditori sociali;
  • la somma rimborsata va restituita alla società, qualora il rimborso sia avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società stessa.

Va da sé che un rimborso di un finanziamento soci, anche se effettuato a titolo di mutuo ed iscritto tra i debiti della società, costituisce un’operazione priva di rischi, ove la società sia in condizione di rispettare i propri impegni nei confronti dei creditori, e notevolmente rischiosa in caso contrario.

Alla luce dei superiori aspetti, il possesso di un preciso titolo in base al quale i finanziamenti vengono effettuati, siano essi previsti in una delibera o in uno scambio di corrispondenza, è necessario al fine di individuare e conseguentemente qualificare la natura di ciascun finanziamento.

In assenza di tali documenti risulta difficile stabilire nella pratica se, tramite un finanziamento, i soci abbiano voluto eseguire un finanziamento in conto capitale o a titolo di mutuo, anche se alcune presunzioni possono orientare verso l’una o l’altra fattispecie. Ad esempio, la previsione di interessi rivela certamente che si tratti di mutuo, mentre la proporzionalità tra le quote sociali e le somme versate fa propendere verso il versamento in conto capitale.

La distinzione tra le suddette ipotesi è rilevante anche ai fini del versamento dell’imposta di registro poiché i finanziamenti in conto capitale non sono soggetti ad imposta, ma soltanto al pagamento dell’imposta di registro in misura fissa di € 168 nel caso di successiva conversione del finanziamento a capitale, mentre i finanziamenti a titolo di mutuo sono soggetti all’imposta di registro nella misura del 3%.

In merito agli aspetti di natura fiscale, la necessità di una documentazione che giustifichi il titolo del finanziamento risulta fondamentale poiché, in assenza dei suddetti documenti, l’Agenzia delle Entrate è nelle condizioni di qualificare gli apporti finanziari effettuati come ricavi occulti. In particolare, la Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24746 del 5 novembre 2020, rileva che la legge non impone che per la validità dei finanziamenti effettuati dai soci a favore della società sia necessaria una delibera assembleare o uno scambio di corrispondenza, evidenziando tuttavia che, per opporre al fisco la legittimità di un finanziamento, è necessario dimostrare che per lo stesso si disponga della relativa documentazione di supporto.

Nella sentenza in oggetto, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che in una società in cui non si dispone della documentazione probatoria necessaria per l’opponibilità di tali finanziamenti, i versamenti effettuati possano essere qualificati come ricavi occulti, anziché come finanziamenti.

In conclusione, è necessario che ciascun finanziamento venga supportato dalla relativa documentazione, sia essa una delibera assembleare o uno scambio di corrispondenza, al fine di inquadrare tale finanziamento come un finanziamento in conto capitale, che può essere restituito solo in sede di liquidazione dell’attivo, o un finanziamento a titolo di mutuo che può essere restituito alla scadenza indicata nel relativo documento.

Tale aspetto diviene ancor più importante alla luce della posizione dell’Agenzia delle Entrate e del recente orientamento della Cassazione che, in assenza della relativa documentazione di supporto, qualifica i versamenti effettuati come ricavi occulti.

 

 

 

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