Il legislatore ha previsto delle norme finalizzate a evitare possibili abusi da parte dei soggetti Ires, che vogliano utilizzare le perdite fiscali conseguite in esercizi precedenti per ridurre i redditi dei periodi d’imposta successivi o per portare in diminuzione il reddito della società incorporante o risultante dalla fusione.

Soltanto l’Agenzia delle Entrate, appositamente interpellata, può autorizzare la deroga ai limiti previsti dal legislatore, come ha fatto in tre recentissime risposte ad altrettante istanze d’interpello in cui ha chiarito un aspetto fondamentale della disciplina dell’abuso di diritto: se l’operazione possiede valide ragioni economiche e non viene posta in essere esclusivamente per beneficiare di vantaggi fiscali, la stessa risulta legittima, anche se non sono rispettati alla lettera i limiti imposti dal legislatore.     

 

 

In riferimento all’utilizzo delle perdite fiscali da parte dei soggetti Ires, il Legislatore ha dettato una disciplina generale che, da un lato, riconosce ai soggetti interessati il diritto di utilizzare tali perdite in diminuzione dei redditi successivi (riporto delle perdite in senso stretto) e in diminuzione del reddito della società incorporante o risultante dalla fusione (riporto intersoggettivo) e, dall’altro, dispone il divieto di utilizzare le stesse in assenza di determinate condizioni o, per meglio dire, di determinati indici di tipi economico-patrimoniali (c.d. indici di vitalità).

In particolare, ai sensi dell’articolo 84 commi 1 e 2 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n.917, “la perdita di un periodo d’imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare. (…) Le perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione possono, con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi entro il limite del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva”.  

Il medesimo articolo, al comma 3, detta nello stesso tempo una disciplina anti-abuso che prevede che le perdite fiscali non possono essere riportate in avanti nel caso in cui:

  • la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo;
  • nel periodo d’imposta in cui avviene il trasferimento, ovvero nei due successivi o anteriori, venga modificata l’attività principale in fatto esercitata nei periodi d’imposta in cui le perdite sono state generate.

Tali limitazioni non si applicano qualora le partecipazioni siano relative a società, che nel biennio precedente a quello di trasferimento:

  • abbiano avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità;
  • per le quali dal conto economico relativo all’esercizio precedente a quello di trasferimento risultino un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi (di cui all’articolo 2425 del codice civile), superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

Allo stesso modo, l’articolo 172 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n.917, nell’ambito delle operazioni straordinarie di fusione, al comma 7, dispone da un lato che le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante, dall’altro che tali perdite possono essere portate in diminuzione soltanto:

  • per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale (di cui all’articolo 2501-quater del codice civile), senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa;
  • a condizione che dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi (di cui all’articolo 2425 del codice civile) superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

A questo punto, dobbiamo chiederci se le limitazioni al riporto delle perdite dettate sia dall’articolo 84 sia dall’articolo 172 del TUIR siano assolute o ammettano deroghe.

Per fortuna, prima di noi è stato il Legislatore a porsi questa domanda, e lo stesso Legislatore, al fine di tutelare tutti quei soggetti che, pur non rispettando uno o più indici di vitalità previsti dagli articoli 84 e 172 del TUIR (numero dipendenti, incremento dei ricavi e incremento del costo del lavoro), nella realtà pongono in essere operazioni dettate da decisioni economiche e aziendali concrete.

Tali soggetti, infatti, come previsto dall’ultimo comma dell’articolo 84 del TUIR e dal settimo comma dell’articolo 172 del medesimo Testo unico, al fine di disapplicare le disposizioni anti-abuso previste dai medesimi articoli, possono interpellare l’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’articolo 11, comma 2, della legge 27 luglio 2000 n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente. E risulta evidente che tali soggetti devono in tutti i modi dimostrare che, pur non rispettando determinati indicatori di vitalità economico-patrimoniale, l’operazione che pongono in essere risulta sorretta da valide ragioni economiche, scongiurando ogni forma di abuso.

A questo punto, la parola passa all’Agenzia delle Entrate che, sulla base delle informazioni e della documentazione raccolta dal soggetto istante, esprime il suo parere. È quello che è successo recentemente, per come dimostrato da tre risposte ad altrettante istanze di interpello, precisamente la n. 57 del 13/02/2020, la n. 88 del 6/03/2020 e la n. 101 dello scorso 3 aprile, in cui le società istanti, pur in presenza di operazioni supportate da valide ragioni economiche, si trovavano a non rispettare a pieno gli indici di vitalità economica, in particolare con riferimento ai costi del personale.

L’Agenzia ha quindi ritenuto, previa valutazione della documentazione complessiva comprovante la validità economica dell’operazione sottesa, di avallare la disapplicazione della norma antielusiva, cogliendo così l’occasione per ribadire che la ratio della norma è solo quella di limitare le compensazioni intersoggettive di perdite fiscali conseguenti ad operazioni configurabili come “compravendite di c.d. bare fiscali”.

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