Quando nel febbraio del 2004 nasceva Facebook e nel 2010 Instagram, solo i più lungimiranti avrebbero scommesso sul successo smisurato di queste nuove piattaforme e ancora più impensabile sarebbe stato immaginare che un decennio dopo sarebbero diventate la lente di ingrandimento dell’amministrazione finanziaria. Una linea sottile separa la spesso, apparente e ridondante, vita social dai tentativi che l’Agenzia delle Entrate (Ade) compie per limitare l’evasione fiscale.
Con l’obiettivo di preservare il denaro in arrivo tramite il Recovery Plan e sotto spinta della Comunità Europea, l’Ade sta provvedendo all’assunzione di oltre 4mila risorse con competenze digitali e informatiche volte alla supervisione delle analisi svolte dagli algoritmi automatizzati.
Almeno tre generazioni contano un profilo su un social network. La quasi totale trasposizione della vita reale a vantaggio di un avatar digitale ha fatto scattare nei primi anni 2000 l’attenzione dell’amministrazione finanziaria verso quelli che si profilavano essere i nuovi mercati di scambio di informazioni e dati. In Italia sono circa 20 milioni i profili singoli attivi: un numero che dovrebbe farci comprendere di che mole di dati si parla in termini di condivisioni giornaliere, tenuto conto che in media ogni profilo è gestito attivamente per circa 1 ora e 50 minuti al giorno.
Il “mondo” dell’online è entrato a far parte della nostra quotidianità, fondendosi con essa al punto da essere utilizzato come presupposto, di un atto amministrativo. A suon di click e post il contribuente ha inconsciamente iniziato a fornire gratuitamente ogni tipo di informazione rendendosi un potenziale soggetto di verifiche fiscali.
In Italia, il controllo dei dati social viene utilizzato ancora solo come supporto di prove già ottenute tramite canali standard ed ufficiali per supportare le eventuali incongruenze reddituali dichiarate.
Il passaggio chiave per comprendere il modo in cui i dati messi a disposizione dei “controllori” possono essere utilizzati contro i contribuenti è da ricercarsi nelle fonti dell’accertamento tributario.
L’art. 39, comma 2, del DPR n 600/73 e l’art. 55 del DPR n 633/72, elencano i presupposti che stanno alla base dei controlli fiscali ed i casi in cui tali verifiche possono essere effettuate con minor rigore di prova e al fine della ricostruzione del reddito. Di conseguenza questa pratica è potenzialmente più lesiva dei diritti del contribuente rispetto agli accertamenti analitici o presuntivi e, non a caso, richiede tassative condizioni per la sua applicabilità.
Al ricorrere di condizioni di inattendibilità dell’assetto contabile, il reddito può essere determinato:
- sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’ufficio;
- con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili;
- utilizzando presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
E sono proprio i dati informatici, liberamente condivisi, a poter essere utilizzati per le finalità di controllo.
Con la circolare n.16/E del 28/04/2016, con il comunicato stampa del 4/03/2021 ed attraverso le parole del Direttore Ernesto Maria Ruffini si comprende come le indagini antielusive stiano prendendo sempre più la direzione di Facebook, Twitter, Instagram e di tutti i canali di reperimento di informazioni, chiarendo di fatto che si farà affidamento non solo alle informazioni reperibili dalle banche dati tributarie tradizionali, ma anche dalle cosiddette “fonti aperte”.
Tutto questo si configura come una fase preliminare di un più ampio progetto di armonizzazione dei controlli, così come previsto dalla Commissione Europea. In Francia l’ultima Legge di Bilancio ha dato il via libera a controlli fondati su algoritmi, machine learning, big data ed intelligenza artificiale, autorizzando i controllori ad effettuare accertamenti basati su automatismi informatici.
C’è da dire, però, che Controllo e privacy spesso non vanno d’accordo ed è per tale motivo che i contribuenti italiani possono tirare ancora per un po’ di tempo un sospiro di sollievo rispetto ai “cugini “francesi che sotto tale profilo godono di meno tutele.
Ma l’Agenzia delle Entrate non vuole di certo rimanere indietro e sta già assumendo oltre 4.000 risorse con competenze digitali ed informatiche volte alla supervisione delle analisi svolte dagli algoritmi automatizzati. Questo fermento nasce dalla necessità di salvaguardare il più possibile il denaro in arrivo a breve tramite il Recovery Plan, sotto la direttiva della Comunità Europea, che spinge fortemente tutti gli Stati a dotarsi di più efficaci sistemi antielusivi.
I singoli cittadini di fronte a questa mole di informatizzazione e processi di controllo non saranno privi di tutele: verrà sempre garantita loro la possibilità di fornire spiegazioni e di poter accedere al contraddittorio preventivo, prima che questo si trasformi in accertamento.
Alla luce di ciò e di un futuro di controlli e verifiche non troppo lontano, per dirla alla maniera di Jeff Orlowski, autore del docu-film “The social dilemma”, bisogna ricordarsi che quando un prodotto o un servizio sono gratis, il prodotto o il servizio in questione probabilmente siamo noi.